GOODBYE GHEDDAFI
(recensione di Ilda Ippoliti)
Tiziano Turci torna in scena al Teatro dei Contrari con GoodBye Gheddafi, evoluzione naturale del corto teatrale "15059 Storie Sbagliate", e arricchitosi via via di nuovi spunti di riflessione, di nuovi fatti di cronaca di pregnante attualità.
Vigoroso e pungente eppure a suo modo distaccato, Turci, tra monologhi, canzoni e una buona dose di satira, costruisce uno spettacolo divertente e dinamico che coinvolge lo spettatore, al ritmo di jazz, e lo cattura offrendogli un punto di vista differente su temi di grande attualità come la politica dell’immigrazione e soprattutto sull’informazione.
L’informazione dovrebbe raccontare i fatti così come sono, nudi e crudi ma il condizionale è d’obbligo: le storie che ci giungono attraverso i mezzi di comunicazione di massa, sono veramente quello che appaiono? La parola ha un enorme potere: dice e contraddice, trasforma e stravolge, può macinare i fatti fino a plasmarli ad “usum” di interessi non sempre sondabili e quel che sembra premere all’autore è la necessità di una presa di coscienza che questo può accadere e che infatti… accade.
Interessante ad esempio, è l’osservazione di come la parola "clandestino" (dal latino Clam-des-tinum=colui che si nasconde di giorno, segreto, nascosto) abbia visto negli ultimi tempi acquisire l’accezione negativa di "colui che si aggira furtivo" e quindi di presunto delinquente.
Turci non inventa nulla: parte dalle notizie dei quotidiani e dei telegiornali e le illustra ponendosi domande perché il dubbio che quel che ci viene raccontato non sia proprio tutto quello che c’è da sapere, si ha il sacrosanto diritto di averlo.
Così l’osservazione diventa analisi, se non esigenza, di saperne di più.
Ecco che allora, se si scava un po’ intorno alla notizia dell’ennesimo sbarco di “clandestini”sulle nostre coste e si prova ad andare un po’ oltre alle dichiarazioni del mondo politico, si scopre che in Italia solo il 5% dell’immigrazione irregolare avviene via mare (ma allora cosa ci raccontano?) e che il prezzo in vite umane che questo flusso migratorio ha pagato e continua a pagare, è altissimo
La narrazione è coinvolgente. Non potrebbe non esserlo. L’immagine stessa della locandina dello spettacolo racconta un po’ il senso di questo spettacolo: il notissimo viso di Gheddafi formato però da centinaia di minuscole ed illeggibili foto di persone sconosciute…
Turci proietta uno spicchio di luce sul fenomeno immigrazione, ma lo fa sull’altra faccia della medaglia, quella che sta dietro, quella che in TV non si vede, quella dove gli irregolari (evito volutamente l’abusato termine “clandestino”) non sono le anonime unità di una categoria, ma esseri umani, ognuno con un proprio nome, un cognome, una vita, una storia vera da raccontare. Cartina dell’Africa alla mano Turci racconta il viaggio da inferno dantesco di questi “invasori”, un’odissea che per il 70% di chi parte si trasforma in tragedia e non importa se si tratta di uomini, donne o bambini.
Lo spettacolo dunque grazie alla forza espressiva del suo autore, diverte ma spinge, è inevitabile, alla riflessione. Specie nel finale dove in sottofondo si odono uno dietro l’altro i nomi di chi non è mai arrivato a destinazione, e dove i toni si fanno più seri perché della morte, no, non si può ridere.
(recensione di Ilda Ippoliti)
Tiziano Turci torna in scena al Teatro dei Contrari con GoodBye Gheddafi, evoluzione naturale del corto teatrale "15059 Storie Sbagliate", e arricchitosi via via di nuovi spunti di riflessione, di nuovi fatti di cronaca di pregnante attualità.
Vigoroso e pungente eppure a suo modo distaccato, Turci, tra monologhi, canzoni e una buona dose di satira, costruisce uno spettacolo divertente e dinamico che coinvolge lo spettatore, al ritmo di jazz, e lo cattura offrendogli un punto di vista differente su temi di grande attualità come la politica dell’immigrazione e soprattutto sull’informazione.
L’informazione dovrebbe raccontare i fatti così come sono, nudi e crudi ma il condizionale è d’obbligo: le storie che ci giungono attraverso i mezzi di comunicazione di massa, sono veramente quello che appaiono? La parola ha un enorme potere: dice e contraddice, trasforma e stravolge, può macinare i fatti fino a plasmarli ad “usum” di interessi non sempre sondabili e quel che sembra premere all’autore è la necessità di una presa di coscienza che questo può accadere e che infatti… accade.
Interessante ad esempio, è l’osservazione di come la parola "clandestino" (dal latino Clam-des-tinum=colui che si nasconde di giorno, segreto, nascosto) abbia visto negli ultimi tempi acquisire l’accezione negativa di "colui che si aggira furtivo" e quindi di presunto delinquente.
Turci non inventa nulla: parte dalle notizie dei quotidiani e dei telegiornali e le illustra ponendosi domande perché il dubbio che quel che ci viene raccontato non sia proprio tutto quello che c’è da sapere, si ha il sacrosanto diritto di averlo.
Così l’osservazione diventa analisi, se non esigenza, di saperne di più.
Ecco che allora, se si scava un po’ intorno alla notizia dell’ennesimo sbarco di “clandestini”sulle nostre coste e si prova ad andare un po’ oltre alle dichiarazioni del mondo politico, si scopre che in Italia solo il 5% dell’immigrazione irregolare avviene via mare (ma allora cosa ci raccontano?) e che il prezzo in vite umane che questo flusso migratorio ha pagato e continua a pagare, è altissimo
La narrazione è coinvolgente. Non potrebbe non esserlo. L’immagine stessa della locandina dello spettacolo racconta un po’ il senso di questo spettacolo: il notissimo viso di Gheddafi formato però da centinaia di minuscole ed illeggibili foto di persone sconosciute…
Turci proietta uno spicchio di luce sul fenomeno immigrazione, ma lo fa sull’altra faccia della medaglia, quella che sta dietro, quella che in TV non si vede, quella dove gli irregolari (evito volutamente l’abusato termine “clandestino”) non sono le anonime unità di una categoria, ma esseri umani, ognuno con un proprio nome, un cognome, una vita, una storia vera da raccontare. Cartina dell’Africa alla mano Turci racconta il viaggio da inferno dantesco di questi “invasori”, un’odissea che per il 70% di chi parte si trasforma in tragedia e non importa se si tratta di uomini, donne o bambini.
Lo spettacolo dunque grazie alla forza espressiva del suo autore, diverte ma spinge, è inevitabile, alla riflessione. Specie nel finale dove in sottofondo si odono uno dietro l’altro i nomi di chi non è mai arrivato a destinazione, e dove i toni si fanno più seri perché della morte, no, non si può ridere.
TEATRO DEI CONTRARI
Via Ostilia 22
10-11-12 maggio 2011 - ore 21.00
Biglietti 10.00 euro + 2.00 euro (tessera associativa)
Info e prenotazioni 3489602600/ 3351213123
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